La formazione tecnica in Europa a confronto

L’Osservatorio delle libere professioni, un ente di ricerca di Conprofessioni, ha recentemente pubblicato il “IX Rapporto sulle libere professioni in Italia” che analizza, tra l’altro, il tema della formazione nell’Unione europea negli ultimi anni, mettendo in luce similitudini e differenze dei contesti nazionali. Nella parte finale si propone inoltre un approfondimento sulla diffusione delle università telematiche in Italia e sugli studenti che si spostano internamente all’Italia per motivi di studio.

Guardando – si legge nel rapporto – i livelli di istruzione dei giovani tra i 25 e 34 anni, il dato medio dell’Ue individua una pari quota di titoli di istruzione terziaria (43,1%) e secondaria superiore (42,4%). Scorrendo i dati dei singoli paesi, è possibile distinguere due gruppi: da un lato i paesi in cui il possesso di laurea o altro titolo di istruzione terziaria costituisce la condizione maggioritaria (Spagna, Francia, Svezia con una quota di popolazione laureata superiore al 50%); più folto il secondo gruppo di paesi, tra cui anche Italia e Germania: qui il livello d’istruzione più diffuso è l’istruzione secondaria di secondo grado, con quote che variano tra il 45% e il 57%.

In Italia si osserva la quasi totale assenza di percorsi terziari brevi, non a carattere universitario: gli ITS o IFTS incidono per lo 0,2% sui titoli di istruzione terziaria dei 25-34enni. Le lauree di primo livello detengono una quota inferiore a quella delle lauree specialistiche (12,8% versus 17,2%).

Situazione analoga in Germania. Secondo il rapporto, il confronto con due dei paesi che detengono i maggiori livelli di istruzione terziaria (Irlanda e Svezia) appare illuminante: questi paesi, che negli ultimi vent’anni hanno incrementato i livelli di istruzione terziaria di oltre 20 punti percentuali, derivano la loro ottima performance prevalentemente da percorsi brevi (lauree di primo livello e formazione terziaria breve di tipo non accademico). Anche in Spagna e Francia – con quote di giovani con istruzione terziaria superiori al 50% – appare molto diffusa la formazione tecnico superiore a ciclo breve: rispettivamente il 15,7% e il 12,1% dei 25-34enni dispone di questo titolo di studio.

In Italia negli ultimi anni – continua il rapporto – si è diffuso il fenomeno delle università telematiche che, se nell’anno accademico 2004-2005 il numero di iscritti superava di poco le mille unità, nel più recente 2022-2023 si contano oltre 250 mila iscrizioni annue, pari al 13,1% degli iscritti totali. Le università telematiche sembrano caratterizzarsi per un buon indice di produttività: a fronte di una quota di iscritti pari al 13,1% esse hanno infatti contribuito per ben il 16% in termini di neolaureati al 2023.

Il rapporto analizza inoltre la percentuale di lauree Stem (Ingegneria, Tecnologia, Scienze e Matematica) sul totale degli studenti laureatisi nel 2022, suddivisa a sua volta per specifiche aree di studio. In Ue, il contributo ammonta al 26,5%: nello specifico prevale la componente “Ingegneria, manifattura e costruzioni” (14,7%), seguita dalle “Scienze naturali, matematica e statistica” (7,3%) e dalle “Tecnologie dell’informazione e della comunicazione” (4,5%). Risaltano in questa classifica le posizioni di Germania (35,9%), Austria (31,1%) e Francia (30,6%), rispetto al 23,4% in Italia.

L’Italia però si pone tra le posizioni di vertice della classifica per quanto riguarda il contributo femminile alle lauree Stem, con una quota di donne pari al 39%: il valore medio europeo è pari al 35,4% e tra i grandi paesi solo la Francia detiene una performance migliore, con una percentuale di donne tra i laureati Stem del 42,6%. Il titolo di studio terziario è notoriamente più diffuso tra le donne che tra gli uomini.

Nell’Ue a 27 paesi il 37,6% dei maschi dispone di laurea o altro titolo di istruzione terziaria contro il 48,8% delle donne tra i 25-34 anni; in Italia le quote di laureati sono
rispettivamente del 24,4% e del 37,1% al 2023, e in tutti i paesi europei si riscontra che la presenza di titoli di studio elevati è più frequente nella popolazione femminile.

Ma la differenza si fa ancora più marcata se si guarda alla popolazione occupata: il tasso di laureati tra i giovani occupati dai 25 e i 34 anni è decisamente più elevato tra le donne che tra gli uomini. Questa tendenza si ritrova nella maggior parte dei paesi europei ma vale in particolare nei mercati del lavoro meno performanti, tra cui l’Italia, dove il tasso di laureate tra le giovani occupate è quasi del 50% contro il 24,0% degli uomini.
Alle donne insomma serve un titolo di studio più importante per poter entrare stabilmente nel mondo del lavoro.

Tale dato – sottolinea inoltre il rapporto – si inserisce nel contesto che, al 2023, il gap occupazionale di genere Italia vale più di 18 punti percentuali, risultato di un tasso di occupazione maschile del 70,4% e di una percentuale di donne occupate di appena il 52,2%. In nessuno degli altri paesi europei il divario di genere risulta così fortemente accentuato.

La situazione italiana appare particolarmente critica anche se si guarda all’occupazione giovanile: tra gli under 25 il tasso occupazionale è infatti pari al 20,4%. Solo un giovane su 5 ha un lavoro: un dato allarmante – se confrontato con il dato della Germania, dove oltre la metà (50,8%) degli under 25 svolge un’attività lavorativa, ma anche rispetto alla media europea (35,2%).

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